Pagine

lunedì 8 settembre 2025

Incendi boschivi, l’Italia in fumo: danni ambientali e costi milionari

Ogni estate l’Italia si trova a fare i conti con una delle emergenze ambientali più gravi e ricorrenti: gli incendi boschivi. Non si tratta solo di una tragedia naturale, ma anche di una questione economica e sociale di enorme portata. Il fuoco che divampa nelle aree verdi del Paese non distrugge soltanto alberi e habitat, ma genera danni materiali, ambientali e sanitari il cui impatto finanziario grava pesantemente sulla collettività. A tutto ciò si sommano costi ambientali incalcolabili, tra perdita di biodiversità, compromissione dei suoli e alterazione degli equilibri ecosistemici.



Secondo una stima di Coldiretti, ogni ettaro bruciato costa mediamente 10.000 euro, una cifra che comprende sia i costi di spegnimento sia quelli di bonifica e ripristino ambientale. Nel 2025, fino alla metà di luglio, sono già andati in fumo oltre 18.600 ettari, più del doppio rispetto alla media degli ultimi vent'anni. Il conto, solo per questa prima parte dell’anno, supera quindi i 186 milioni di euro, cifra che non tiene nemmeno conto dell’impatto ecologico sul lungo periodo, come il tempo necessario alla rigenerazione naturale di interi ecosistemi o la perdita irreversibile di specie animali e vegetali.

Il danno economico diretto è solo una parte del problema. Gli incendi boschivi colpiscono anche il sistema economico in modo più ampio, contribuendo alla perdita di valore del territorio, alla distruzione di produzioni agricole e turistiche, e aumentando il rischio idrogeologico. Uno studio pubblicato su ScienceDirect ha evidenziato come, nel Sud Europa, la frequenza crescente degli incendi possa ridurre il tasso di crescita del PIL regionale di una percentuale compresa tra lo 0,11% e lo 0,18% l’anno, segnalando una vulnerabilità economica strutturale nei territori colpiti. Anche in questo caso, la componente ambientale non è marginale: la distruzione delle foreste riduce la capacità del territorio di assorbire CO₂, di regolare il ciclo dell’acqua e di fornire servizi ecosistemici vitali.

Nel 2023, secondo i dati dell’ISPRA, in Italia sono stati colpiti circa 88.806 ettari da incendi boschivi, con una netta crescita rispetto al 2022. Durante i soli mesi estivi, tra giugno e settembre, Greenpeace ha calcolato che le fiamme hanno interessato oltre 45.000 ettari, di cui circa 9.000 boschivi. A livello europeo, l’Italia figura tra i Paesi più colpiti, seconda solo alla Grecia, con una stima di 4,1 miliardi di euro di danni su scala continentale nel 2023. A questi dati vanno affiancate le perdite ecologiche invisibili ma profonde, come l’impoverimento del patrimonio forestale, la desertificazione progressiva e l’impatto sulla fauna selvatica.

Oltre alle conseguenze ambientali immediate, il problema si riflette anche in ambito sanitario. Il rilascio di sostanze tossiche derivanti dalla combustione — tra cui CO₂, particolato fine (PM2.5), protossido di azoto e formaldeide — ha effetti diretti sulla salute umana. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’esposizione ai fumi da incendi boschivi contribuisce globalmente a oltre 500.000 morti premature ogni anno, molte delle quali colpiscono persone vulnerabili, come bambini, anziani e soggetti con patologie respiratorie. Questo effetto sanitario è strettamente legato al danno ambientale: meno verde significa meno filtrazione dell’aria e maggiore concentrazione di inquinanti.

Il costo operativo della macchina antincendio è un’altra voce di spesa consistente. I mezzi aerei, in particolare, rappresentano un onere significativo per le casse pubbliche: un’ora di volo di un Canadair può costare oltre 8.000 euro, cui si sommano più di 1.200 euro di carburante. Gli elicotteri, invece, si aggirano intorno ai 3.000 euro all’ora. Regioni come la Toscana investono stabilmente oltre 12 milioni di euro l’anno solo nella prevenzione, dimostrando quanto il contenimento del rischio sia diventato una voce fissa di bilancio. Eppure, anche i migliori sforzi economici non possono sostituire il valore ecologico perduto quando un bosco brucia.
Un ulteriore elemento preoccupante è rappresentato dall’origine degli incendi. Secondo l’ISPRA, circa la metà dei roghi boschivi in Italia ha natura dolosa o colposa. Questo dato è particolarmente allarmante nelle regioni meridionali, dove il fenomeno è spesso legato a interessi illegali, speculazioni edilizie e dinamiche criminali. Diversi studi econometrici mostrano una correlazione diretta tra incendi dolosi e fattori sociali come disoccupazione, diseguaglianze e presenza di criminalità organizzata. Anche qui, il danno non è solo economico o penale: l’azione dolosa annienta ecosistemi complessi e compromette interi corridoi ecologici che richiederanno decenni per riprendersi.
Nel 2021, anno particolarmente drammatico, gli incendi in Calabria, Sicilia e Sardegna bruciarono circa 50.000 ettari, generando danni per oltre 5,6 miliardi di euro, un valore che comprendeva perdite agricole, forestali, turistiche e costi sanitari ed emergenziali. A tutto questo andrebbe aggiunto un calcolo che oggi ancora sfugge alla contabilità pubblica: il prezzo ecologico pagato dal Paese in termini di qualità dell’ambiente e resilienza al cambiamento climatico.

In conclusione, gli incendi boschivi in Italia rappresentano un problema molto più vasto del semplice “evento naturale estivo”. Si tratta di un’emergenza sistemica, che richiede interventi coordinati su più livelli: dalla prevenzione attiva alla gestione forestale sostenibile, fino alla repressione penale degli incendiari. L'alternativa è continuare a pagare un prezzo altissimo, non solo in termini economici, ma anche in termini di perdita ecologica irreversibile. E in un Paese come l’Italia, che vive di paesaggio, biodiversità e cultura del territorio, ogni ettaro in fumo è un pezzo di futuro che se ne va.


Fonti:
  • Coldiretti – Incendi boschivi: costi e impatti – QuiFinanza
  • ISPRA – Indicatori ambientali su incendi boschivi – ISPRA Ambiente
  • Greenpeace Italia – Incendi boschivi 2023–2024 – Greenpeace.org
  • ScienceDirect – The macroeconomic effects of wildfires in Southern Europe – Link
  • Distrelec – The cost of European wildfires 2023 – Distrelec Know-How
  • Wikipedia – 2021 Italy wildfires – en.wikipedia.org
  • iForest – Costi operativi della lotta agli incendi – iforest.sisef.org

mercoledì 25 giugno 2025

La Crisi Climatica Sparisce dai Media Italiani

Quando l'Emergenza Diventa Invisibile
Nel pieno dell'emergenza climatica globale, con temperature record che si susseguono e fenomeni estremi sempre più frequenti, accade l'impensabile: i media italiani parlano sempre meno di crisi climatica. I dati del 2024 raccontano una storia preoccupante di progressivo silenzio informativo proprio quando l'urgenza di comunicare sui cambiamenti climatici non è mai stata così alta.



Il Crollo Vertiginoso della Copertura Mediatica
Secondo l'ultimo rapporto dell'Osservatorio di Pavia realizzato per Greenpeace Italia, nel 2024 la copertura mediatica della crisi climatica ha subito un tracollo senza precedenti. Le notizie dedicate al clima hanno registrato un calo del 47% sui quotidiani (con una media di appena un articolo ogni due giorni) e del 45% sui telegiornali (in media un solo servizio ogni dieci giorni) rispetto al 2023.
Il quadro è ancora più drammatico se si considera l'evoluzione temporale: nell'ultima parte dell'anno il numero di articoli pubblicati dai principali quotidiani italiani in cui si parla esplicitamente di crisi climatica è diminuito rispetto al quadrimestre precedente, attestandosi a una media di appena 2,5 articoli al giorno. Una cifra irrisoria per una crisi che secondo gli scienziati rappresenta la sfida più grande dell'umanità.

Una Copertura Inadeguata e Deresponsabilizzata
La questione non è solo quantitativa, ma anche qualitativa. Nonostante un'estate flagellata dagli eventi estremi, sui quotidiani e in televisione la crisi climatica continua a trovare poco spazio e viene raccontata dai media italiani come se non avesse responsabili. Questa modalità narrativa contribuisce a deresponsabilizzare sia i decisori politici che i settori economici maggiormente coinvolti nelle emissioni di gas serra.
L'Osservatorio di Pavia ha rilevato che sono diminuite significativamente le notizie focalizzate sul cambiamento climatico mentre, in proporzione, sono aumentate quelle che lo trattano a margine di altre questioni o si limitano a citarla. Una tendenza che confina la crisi climatica in un ruolo marginale nel dibattito pubblico, proprio quando dovrebbe essere al centro dell'agenda politica e mediatica.

Il Paradosso della Pubblicità Inquinante
Mentre l'informazione climatica diminuisce, cresce paradossalmente la presenza pubblicitaria delle aziende più inquinanti. Si è assistito a un aumento delle pubblicità delle aziende inquinanti sui quotidiani (1.284, contro le 1.229 del 2023). Questo dato evidenzia una contraddizione stridente: mentre i media riducono lo spazio dedicato all'informazione sulla crisi climatica, aumentano gli investimenti pubblicitari di settori che contribuiscono maggiormente alle emissioni.

Le Conseguenze del Silenzio Mediatico
Il progressivo silenziamento mediatico della crisi climatica ha conseguenze concrete sulla percezione pubblica dell'urgenza climatica. Quello che emerge è un dibattito pubblico più focalizzato sui costi economici della transizione che sulla effettiva urgenza di affrontare il riscaldamento globale. Questa distorsione comunicativa rischia di alimentare scetticismo e ritardi nelle politiche necessarie per contrastare i cambiamenti climatici.
Negli anni passati, la copertura mediatica aveva già mostrato segni di inadeguatezza. Nei programmi televisivi di approfondimento si è dato spazio alla crisi climatica in 116 delle 450 puntate monitorate, pari al 26% del totale, in leggero calo rispetto al quadrimestre precedente. Un trend discendente che trova nel 2024 la sua manifestazione più preoccupante.

Un Monitoraggio Necessario
Il lavoro dell'Osservatorio di Pavia per Greenpeace Italia rappresenta un presidio fondamentale per tenere alta l'attenzione sulla qualità dell'informazione climatica. Il monitoraggio esamina come la crisi climatica viene raccontata sui cinque quotidiani nazionali più diffusi (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa) e sulle edizioni serali dei telegiornali delle reti Rai, Mediaset e La7.
Questa analisi sistematica rivela come l'informazione climatica sia sempre più confinata in spazi marginali, spesso trattata come una questione settoriale piuttosto che come l'emergenza trasversale che effettivamente rappresenta. Il silenzio mediatico sulla crisi climatica non è solo un problema giornalistico, ma una questione democratica che riguarda il diritto dei cittadini a essere informati sulle sfide che definiranno il futuro del pianeta.
La sfida per il mondo dell'informazione è tornare a fare della crisi climatica una priorità editoriale, restituendo a questa emergenza lo spazio e l'attenzione che merita nell'agenda pubblica italiana.



Fonti principali:

Greenpeace Italia e Osservatorio di Pavia - Rapporto annuale su media e clima 2024

Osservatorio di Pavia - Monitoraggio copertura mediatica crisi climatica

Facta - Analisi 2024 su media italiani e crisi climatica

sabato 24 maggio 2025

Aiuole spontanee e biodiversità urbana: un cambiamento necessario che parte da Foggia

In tutta Italia si sta sviluppando un dibattito sempre più vivo e consapevole sul ruolo del verde urbano. Non si tratta più soltanto di alberi ornamentali o aiuole geometriche, ma di una visione nuova che considera anche la vegetazione spontanea come un elemento essenziale dell’ecosistema cittadino. In questo contesto, riteniamo giusto appoggiare con convinzione la proposta avanzata dal WWF Italia – sezione di Foggia, che ha avuto il coraggio di proporre un cambiamento culturale profondo: rivalutare le cosiddette “erbacce” come alleate della natura urbana.



Secondo il WWF Foggia, queste piante spontanee non sono sinonimo di abbandono o incuria, ma una ricchezza ecologica gratuita, capace di trasformare angoli anonimi in piccoli paradisi della biodiversità. Si tratta di vegetazione che nasce e cresce naturalmente, offrendo rifugio a insetti impollinatori, migliorando la qualità dell’aria, e contribuendo al benessere complessivo dell’ambiente urbano. Sono microcosmi vitali che possiamo accogliere senza interventi invasivi, riducendo allo stesso tempo i costi di manutenzione per le amministrazioni pubbliche.

È fondamentale però chiarire un punto centrale: lasciare crescere la vegetazione spontanea non significa in alcun modo rinunciare al decoro urbano o alla sicurezza. Al contrario, questa visione promuove una gestione attenta, rispettosa e professionale, in cui il verde viene curato con intelligenza e nei tempi giusti. Soprattutto in estate, è imprescindibile intervenire con operazioni di sfalcio mirate, per evitare l’accumulo di materiale secco che potrebbe diventare pericoloso in caso di caldo estremo o siccità. La prevenzione degli incendi è parte integrante di una buona gestione, e non è mai messa in discussione da chi sostiene la biodiversità urbana.

Il disordine non è nella natura, ma negli occhi di chi non sa leggerla. Una città davvero ordinata è quella che sa armonizzare l’intervento umano con i ritmi e le forme del mondo naturale. Le piante spontanee, se lasciate crescere in modo controllato e accompagnate da una corretta manutenzione, offrono un decoro nuovo, vivo, dinamico. È una bellezza che parla di resilienza, equilibrio e sostenibilità. Non si tratta di lasciar andare tutto al caso, ma di sapere quando osservare e quando agire.

I detrattori di questa visione spesso invocano la necessità di un’estetica pulita e “ordinata”, interpretando la presenza di vegetazione libera come un segno di trascuratezza. Ma è proprio questa prospettiva che il WWF intende mettere in discussione: il verde urbano non va visto come una sfida da domare, ma come una risorsa da valorizzare. E per farlo servono amministratori formati, cittadini consapevoli e tecnici competenti. Una città che sa curare il proprio verde è una città che guarda al futuro con responsabilità.

Da Foggia parte un segnale forte che merita attenzione e imitazione. In molte altre città italiane questa nuova sensibilità sta emergendo, trasformando le aiuole in piccoli laboratori di coesistenza tra uomo e natura. Basta poco: osservare, conoscere, rispettare. Anche un’aiuola dimenticata può diventare simbolo di equilibrio urbano, se si smette di vederla come un errore e la si accoglie come un dono.

La natura urbana non è un ostacolo da eliminare, ma una possibilità da coltivare con cura. Sta a noi scegliere se continuare a combatterla o iniziare a viverla.